Barolo Brunate 1999, l’emozione e il ricordo

Era l’ottobre del 2004 e non avevo ancora completato il percorso per diventare sommelier. Partecipavo con una certa assiduità alle degustazioni tecniche – quelle che si svolgono seduti ai banchi – che proponeva la mia Associazione presso l’Hotel Hilton di Roma. Quel giorno il tema era la degustazione e il racconto dei vini di Michele Chiarlo. Lo conobbi personalmente nel giorno del mio primo vero assaggio di alcuni dei più prestigiosi cru di Barolo, Cannubi, Cerequio e Brunate. Di questi, il Brunate sarà oggetto oggi del nostro racconto.

Pietro Chiarlo, il padre di Michele, fondò la Cantina nel 1956 nel cuore del Monferrato, a Calamandrana, puntando sulle potenzialità future del vino prodotto allora. L’opera fu proseguita da Michele che si dedicò anche all’espansione territoriale dell’Azienda, con l’acquisto di parcelle nei cru più vocati del Monferrato e delle Langhe. Coadiuvato dai figli Stefano e Alberto, Michele ha sviluppato nel tempo la rete commerciale, consolidando la sua presenza nel mercato americano e in quello dei paesi del nord Europa. La Cantina può ritenersi di grandi dimensioni per gli standard piemontesi, estendendosi oggi per ben 120 ettari.

L’Azienda possiede alcuni tra i più prestigiosi cru nel Barolo (Cerequio, Cannubi) e nel Barbaresco (Asili), ma è anche presente con una bellissima proprietà a Castelnuovo Calcea, oltre che nella zona del Gavi. La produzione conta una ventina di etichette, una gamma di tutto rispetto e rappresentativa dei vini del Basso Piemonte, che spazia dal Barolo al Barbaresco, dal Gavi alla Barbera, dal Nebbiolo al Dolcetto al Moscato.

Nei vigneti si coltivano solo uve autoctone, come il nebbiolo, la barbera, il dolcetto, il cortese e il moscato. In Cantina la filosofia produttiva mira a esaltare le caratteristiche che contraddistinguono il vitigno proveniente da un determinato terroir, riservando ai vini rossi un moderato uso del legno, con affinamento dei cru secondo tradizione in botti grandi o tonneaux. Obiettivo fondamentale che viene perseguito dalla Cantina sin dagli anni ’90 è quello della sostenibilità ambientale, da quando furono applicate in vigneto le prime forme di lotta integrata con l’uso selettivo di fitofarmaci. Un percorso virtuoso, che si rinnova nel tempo: nel 2007 è stato avviato un progetto, riconosciuto dal Ministero dell’Ambiente, che mira alla sostenibilità della filiera sino alla tavola dei consumatori.

Come accennato parleremo di un vino molto speciale, di un Barolo Brunate, da sempre uno dei più importanti cru dell’intera denominazione. Ne acquistai una bottiglia alcuni anni dopo la degustazione a cui presi parte, avendo anche saputo che Michele Chiarlo non lo vinificava più. Il vigneto era stato per circa un ventennio in affitto e già da qualche tempo non era più nella disponibilità dell’Azienda. Condiviso tra molte aziende storiche, Brunate è un grande vigneto di 28 ettari che si estende per la quasi totalità della sua superficie nel comune di La Morra, mentre una piccola porzione di trova a Barolo. L’esposizione è omogenea, a sud in prevalenza, con un significativo dislivello altimetrico che va dai 230 ai 400 metri sul livello del mare. Il suolo è ricco di carbonati di calcio e manganese, con argille miste a sabbie finissime calcaree, le cosiddette Marne di Sant’Agata risalenti del periodo geologico del Tortoniano. I Barolo di questa zona sono assai strutturati e austeri, molto profumati ed eleganti: vini ricchi, pieni e rotondi, con un’elevata gradazione alcolica e colori intensi.

Il Barolo Brunate che abbiamo degustato ha affinato per due anni in botti di rovere con una sosta di 15 mesi in bottiglia. In realtà è rimasto in bottiglia per molti più anni, visto che il millesimo degustato è stato l’ultimo del secolo scorso.

Passiamo quindi alla degustazione del Barolo Brunate 1999.

Di colore granato trasparente con sorprendenti riflessi ancora rubino, segno della piena vitalità del vino. Molto profumato, ampio all’olfatto, con note di tabacco in evidenza, quindi frutta scura matura, anche in confettura; poi spezie come chiodi di garofano, cannella e noce moscata, per concludere su toni di goudron, di liquirizia ed eucalipto. In bocca conferma la prima impressione che avevamo avuto osservando il colore, dimostrando di mantenere ancora una incredibile freschezza. La trama tannica serica è ben integrata e in totale equilibrio con la grande morbidezza dovuta al lungo invecchiamento. Notevole la persistenza balsamica di questo vino, che dimostra una maestosa finezza e una armoniosa eleganza.

Un vero capolavoro che mi emoziona ancora al ricordo, da abbinare a grandi arrosti o da sorseggiare lentamente ad occhi chiusi.

pubblicato in:
Vino Rosso

Amante del vino, Sommelier AIS ed esperto di marketing

Prima per me il vino era bianco o rosso, ogni tanto una via di mezzo, talvolta aveva le bollicine o era dolce. Poi ho iniziato questo viaggio nella conoscenza del vino, delle sue moltissime espressioni e tipologie, degli innumerevoli territori vocati. Ho incontrato personaggi meravigliosi, con cui è sempre possibile stupirsi, talvolta emozionarsi, degustando un calice di vino.

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